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Buy online tute nike donna - negozio sportivo. Save money for the shopping of the ThanksGiving Day tute nike donna With various styles and colorful design, you can find your favorite that fits your taste Landini: "Renzi e i suoi non rispettano i lavoratori e così perdono elettori. Ma io non farò il politico" - Repubblica.it Maurizio Landini ROMA. A chi gli chiede di entrare in politica risponde che lui, segretario generale della Fiom, fa il sindacalista, ma "di un sindacato che rivendica un ruolo politico". E a chi lo accusa di non rispettare il lavoro del Parlamento così replica: "Non sono io, Maurizio Landini, a non rispettarlo. E' il governo che non lo rispetta chiedendo di votare una delega in bianco sulla riforma del lavoro: nessun altro esecutivo era mai arrivato a tanto". In lui molti vedono la figura di riferimento della sinistra critica e la rilevazione Demos pubblicata da Repubblica assicura che mentre la popolarità del premier Renzi è in calo, la sua aumenta.Landini, i sondaggi sono dalla sua parte, quando accetterà l'invito di chi la vuole in politica?"Precisando che i sondaggi possono anche sbagliare - si è visto cosa hanno combinato sulle elezioni - rispondo che io non mi chiamo Matteo e non mi candido. Il mio mestiere è nel sindacato, un sindacato che il governo vorrebbe sminuire e confinare nelle aziende, ma che invece ha un ruolo politico e deve poter dire la sua, sul lavoro e non solo".Non crede che, arrivati ad un certo punto, non ci si possa più tirare indietro? In lei molti vedono l'erede di Cofferati, che in politica ci è entrato."Abbiamo le nostre regole: chi ha fatto il segretario generale nella Cgil, nel sindacato non può più avere altri incarichi. Io sono segretario della Fiom, la mia strada non è finita".Si sta proponendo come leader della Cgil?"Io non mi propongo per nulla, non mi sono mai proposto, semmai ho accettato. La mia preoccupazione non è per cosa farò io fra tre anni, ma per cosa il governo sta facendo a questo Paese".Qui secondo il ministro Poletti lei esagera, dice che non ha rispetto per il latrattare voro che il Parlamento ha fatto sul Jobs act."Non sono io a non avere rispetto. Siamo in presenza di un governo che chiede una delega in bianco di dubbia costituzionalità e che di fatto esenta il Parlamento del suo ruolo. Un governo che vuole cambiare il lavoro senza discuterne con le organizzazioni sindacali che rappresentano milioni di lavoratori, e senza tener conto di chi ha scioperato. Un governo che non è stato eletto dal popolo su questo programma, e un partito di maggioranza che non ha ancora capito che chi lo ha votato ora è contro di lui".Fra chi la critica, c'è anche quella minoranza del Pd che il 25 ottobre era in piazza con Fiom e Cgil e che ora ha trovato una mediazione sulla riforma del lavoro. Non vi hanno rappresentato bene?"Il punto è questo: il Parlamento non può per noi. I parlamentari rappresentano il loro partito, non possono sostituirsi al sindacato, anche se ex-sin dacalisti. E mi dispiace che non abbiano ancora capito che votando una delega in bianco, votano contro il Parlamento stesso. Noi invece rappresentiamo i lavoratori e lo dimostra il fatto che in piazza con noi e a scioperare con noi non c'erano solo gli iscritti e i simpatizzanti della Fiom e della Cgil: rifiutarci il confronto vuol dire ledere un principio della Costituzione".Il premier non vi ha già risposto dicendo che il governo ascolta tutti e poi decide da solo?"Renzi non solo non ascolta e non discute, ma non ha nemmeno capito che non ha più il consenso di chi lo ha votato. La verità e chi fa politica non capisce più cosa stia succedendo nel Paese: come non preoccuparsi del fatto che la metà degli italiani non vota più? Se metà del sindacato non sciopera io mi preoccupo".Ecco parliamo di sciopero: stasera, sulla pubblica amministrazione, ci sarà un confronto a Palazzo Chigi fra governo e sindacati. Anche se riferita agli statali c'è stata un'apertura, non potevate aspettare l'esito dell'incontro prima di indicare la data del 5 dicembre?"Qui si parla di un voto di fiducia sul Jobs act ancora prima che sulla legge di Stabilità, abbiano aspettato anche troppo".Perché ha detto che la mediazione sull'articolo 18 è una presa in giro?"Perché spiega alle imprese per filo e per segno, facendo gli esempi, come licenziare in modo ingiusto senza rischiare il reintegro e cavandosela con pochi soldi".Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, e fra gli ideatori di quella mediazione, è sotto tutela. Che effetto le fa?"Purtroppo in questo Paese c'è sempre un ritorno fra confitto sociale e minacce terroristiche. Condanno qualsiasi forma di violenza che leda la libertà di esprimersi e la democrazia e ricordo il ruolo che i lavoratori hanno avuto nella lotta al terrorismo. Ma non accetto lezioni da chi per primo questa democrazia non la rispetta, rifiutando il confronto e non lasciando spazio al conflitto di esprimersi"..

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Prodi: "Fare politica industriale gestendo solo tavoli di crisi vuol dire dichiarare ritirata" - Repubblica.it BOLOGNA - "Pensare di fare politica industriale in Italia soltanto gestendo i tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo economico significa "dichiarare la ritirata". Lo ha detto l'ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, nel suo intervento a un convegno sulla globalizzazione promosso da Nomisma a Bologna. "In Italia ci sono 142 tavoli di crisi - ha spiegato Prodi -, ma continuare a fare la politica industriale soltanto con i tavoli di crisi vuol dire dichiarare la ritirata". "Negli ultimi due grandi incontri internazionali tutti hanno accusato l'Europa di danneggiare il mondo. Non c'è nessuna politica europea che rilancia" il mercato ha aggiunto l'ex presidente del Consiglio. "L'encefalogramma è piatto, non è successo niente, mentre tutto il mondo si muove velocissimamente". "Di fronte a una sorta di dottrina astratta tedesca e di alcuni altri paesi - ha aggiunto Prodi - si è continuato ad affrontare la crisi raccontando balle, dicendo che era un problema di riforme interne. Non ha senso. Quando manca la domanda si inietta, quando non c'è una politica si fa la politica. Adesso siamo in questa situazione". Secondo il professore "per dare un colpo all'economia in una crisi grande ci vuole una botta grande". tute nike donna , Libia, l'inferno nelle città in mano agli islamisti provoca l'esodo forzato di 400 mila persone - Repubblica.it TRIPOLI - Dal maggio scorso quasi 400mila sfollati per violenze che si susseguono nel paese nord africano ormai preda di gruppi armati che si combattono per il controllo del territorio. Gli intensi combattimenti tra bande rivali in Libia nelle città di Bengasi e Derna ad est, così come quelli a Ubari a sud e Kikla a ovest, stanno alimentando l'esodo forzato della popolazione. Come si legge in un comunicato diffuso dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) solo nello scorso mese, almeno 106.420 persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case, il che significa che da maggio sono oltre 393.400 le persone sfollate a causa della violenza. Le difficoltù negli aiuti. Nel frattempo, l'insicurezza sta ostacolando le operazioni umanitarie. Le organizzazioni umanitarie stanno ancora cercando di stimare l'effettiva portata dell'esodo. L'Unhcr ha confermato i resoconti delle ONG partner in base ai quali 56.500 persone avrebbero lasciato Bengasi nelle scorse settimane (tra cui 2.500 Tawurgha che si erano rifugiati nella città dopo essere fuggiti in seguito alle prime ondate di violenza nel 2011). Un numero ancora maggiore di persone, è fuggito da Derna (a circa 170 km da Tobruk). I comitati di crisi locali nel sud-est del paese confermano che circa 11.280 persone sono fuggite dai combattimenti in corso a Ubari, mentre nelle regioni ad ovest gruppi di civili affermano che 38.640 persone, tra cui molte donne e bambini, sono state costrette a lasciare le loro case a causa delle lotte a Kikla. I rifugiati libici sparsi in 35 paesi. Gli sfollati libici sparsi in 35 paesi e città e hanno urgente bisogno di alloggi, cure mediche, cibo, acqua e altri beni di prima necessità. Gli scontri più violenti sono avvenuti a Bengasi, da dove le persone sono fuggite verso le città vicine di Ajdabiya, Al Bayda e Misurata. Queste città stanno raggiungendo il limite delle loro capacità d'accoglienza degli sfollati. Ad Al Marj sono state chiuse le scuole, così da avere più spazio per coloro che non hanno possibilità di essere ospitate dalle famiglie locali. Anche Al Bayda e Tobruk si stanno adoperando per accogliere la crescente ondata di persone sfollate (provenienti da Derna e da Benghazi) in cerca di un alloggio. Anche a Tobruk le scuole sono state chiuse in modo da poter ospitare gli sfollati.La minaccia del freddo che avanza. L'Unhcr rende noto inoltre che circa 2.500 Tawurgha, che a metà ottobre hanno abbandonato i loro campi a Bengasi, si trovano ora in parchi, scuole e parcheggi presso Ajdabiya e dintorni, con solo dei teli di plastica sottili e qualche tenda per ripararsi dalle intemperie. I venti e le piogge previsti nei mesi invernali saranno particolarmente duri per le donne, i bambini e le persone anziane che non dispongono di abiti caldi, stufe, tende isolanti e alloggi. I convogli umanitari attraverso le frontiere sono l'unico modo per fare entrare gli aiuti. Attraverso questi convogli, l'Unhcr e i suoi partner hanno fornito assistenza a circa 19.000 persone sfollate ad agosto e settembre, ma affrontano difficoltà nel finanziamento e di accesso. L'Unhcr segnala inoltre i circa 14.000 dei 37.000 rifugiati e richiedenti asilo registrati (quasi la metà proveniente dalla Siria) in Libia che sono bloccati nelle zone di conflitto o non sono in grado di reperire cibo per sé e le loro famiglie. In fuga, senza alternative. In tempi di guerra, i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti spesso vengono guardati con sospetto e subiscono l'ostilità rivolta agli stranieri. Senza alternative, in molti si sono imbarcati irregolarmente verso l'Europa. Nel 2014, più di 156.000 persone sono arrivate in Italia via mare - oltre l'85% è partito dalla Libia. L'Unhcr ha pubblicato ieri il suo position paper sui rimpatri in Libia, che esorta tutti i Paesi a consentire l'accesso ai propri territori ai civili in fuga dalla Libia e sollecita tuti gli Stati a sospendere i rimpatri forzati nel paese fino a quando le condizioni di sicurezza e di rispetto dei diritti umani non saranno in netto miglioramento. Tripoli, Bengasi e Misurata in mano agli islamisti. Dall'avvio dell'offensiva del governo contro le milizie islamiste sono almeno 340 le persone uccise negli scontri a Bengasi, da quando un mese fa è cominciata la battaglia contro le formazioni islamiste armate più radicali. Lo rendono noto fonti mediche e della Mezzaluna Rossa, spiegando che oltre 200 sono i morti tra i soldati, ovvero tra gli uomini dell'esercito regolare e quelli fedeli al generale in pensione Khalifa Haftar. Tra le vittime si contano però anche civili, affermano le fonti mediche. Le tre maggiori città della Libia, ovvero la capitale Tripoli, Bengasi e Misurata, sono ampiamente sotto il controllo delle milizie islamiste. Bengasi è dominata da Ansar al-Shariah, inserita da Washington nella lista delle organizzazioni terroristiche per l'attentato dell'11 settembre del 2012 contro il consolato americano nel quale morì l'ambasciatore Chris Stevens. In cerca di 8 autobomba inesplose. Intanto, forze di sicurezza sono alla ricerca di otto autobomba inesplose in Libia: lo ha riferito il presidente dell'Organizzazione della cultura e dell'informazione libica, Omar El Kerewi. Negli attentati che hanno insanguinato il paese negli ultimi giorni erano state utilizzate 15 autobomba, ma solo 7 sono esplose, ha precisato l'alto funzionario sintetizzando confessioni rese da terroristi arrestati mercoledì. El Kerewi, riferisce un media libico, ha anche messo in guardia gli Stati europei che a suo avviso lui potrebbero essere colpiti da azioni terroristiche ed ha domandato loro, soprattutto a Italia e Francia, di sostenere il parlamento libico e di rifornire di armi l'esercito libico. tute nike donna,Sciopero sociale: cortei e blocchi trasporti in tutta Italia: la mappa - Repubblica.it Oggi sono previste iniziative in oltre 20 città per lo sciopero sociale lanciato da movimenti, associazioni e collettivi di lavoratori precari, disoccupati e studenti contro lo sblocca Italia, il jobs act e la riforma della scuola varata dal governo. Ecco la mappa dei disagi e delle misure previste per trasporti e mobilità in alcune delle principali città Roma: cinque manifestazioni e bus a singhiozzo Milano: cortei in centro, nel pomeriggio si ferma il metrò Padova, scontri: ferito il capo della Mobile Genova: quattro cortei, disagi per bus e treni - Blocco dei portuali Torino: corteo in centro Bologna: studenti, precari e settore pubblico Firenze: città a rischio paralisi Napoli: manifestazioni fino a tarda sera Palermo: corteo in centro, sciopero dei mezzi Bari: precari pronti a incatenarsi

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- Sneakers basse tute nike donna, Una scarpa al giorno: infradito Melissa, quando la plastica รจ chic tute nike donna "Chi fa ricerca paga meno tasse": la guerra dei cervelli tra Italia e Francia - Repubblica.it ROBERTO Barbieri ha imparato la meccanica alla scuola allievi Fiat di mezzo secolo fa e ancora oggi se la ricorda: «Sembrava il servizio militare». Non è però la nostalgia che lo ha spinto a investire in Francia, uno dei Paesi considerati più ostili al capitalismo, quando lo hanno invitato a sistemare i suoi uffici in una caserma dismessa di Briançon. «Per un modesto affitto mi hanno offerto tutto — dice — incluso del personale dedicato a tenere i rapporti con la burocrazia locale». L’azienda di Barbieri, la Emmegi, non supera i dieci addetti ma produce impianti innovativi di risalita sulla neve. È una molecola in un’onda sempre più grossa che ogni mese parte dall’Italia e si rovescia sulla Francia. Sono imprese di ogni settore, dalla farmaceutica alla meccanica, dalla chimica al tessile, che si muovono dalla pianura padana per impiantarsi dall’altra parte delle Alpi occidentali. Sono attratte da incubatori creati dal governo, come a Briançon, o più spesso da un magnete ancora più potente: sgravi sulle tasse dieci volte più incisivi che in Italia su ogni spesa catalogabile sotto la voce ricerca, sviluppo, innovazione. L’anno scorso i progetti di investimento del made in Italy in Francia sono stati 64, per 2.500 posti di lavoro, e solo Stati Uniti e Germania hanno fatto di più. Una stima dell’Agenzia di Parigi per gli investimenti internazionali indica che circa 150 aziende italiane potrebbero aver già spostato almeno parte della ricerca in Francia. Lo hanno fatto marchi del gruppo Fiat come Magneti Marelli o Iveco, leader nella produzione di pace-maker come Sorin, gruppi farmaceutici dal profilo basso e dal fatturato miliardario come la Chiesi. C’è da capirli. Parigi concede uno sgravio fiscale di 323.500 euro in media per ogni impresa che sposti la ricerca in Francia. Per i grandi gruppi è molto di più. È la parte meno nota di un fenomeno che sia il presidente François Hollande che il suo «alleato» italiano Matteo Renzi deprecano: la concorrenza fiscale, disegnata per aspirare investimenti da Paesi vicini o lontani. Nel caso del Lussemburgo, ha prodotto lo scandalo per il quale ora in molti in Europa chiedono le dimissioni dell’ex premier e neo-presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. Fra Francia e Italia invece non ci sono proteste, ma una sfida a colpi di crediti d’imposta sulla ricerca che, per ora, il governo di Roma sta perdendo. In questo, il lavoro dell’ambasciata di Parigi in Italia è trasparente. Sotto la sua ala, a Milano opera l’ufficio dell’Agenzia francese per gli investimenti italiani: quattro persone, oltre al direttore Hervé Pottier. Ogni mattina l’ufficio setaccia una rassegna dei giornali locali di tutt’Italia, in cerca di notizie su imprenditori che dichiarino di voler crescere all’estero, o rafforzare gli investimenti in ricerca. «Non appena leggiamo qualcosa del genere, visitiamo le aziende per mostrare le opzioni di credito d’imposta — spiega Pottier —. Qui l’interesse è enorme, molto evidente». Magneti Marelli ha un impianto di ricerca e sviluppo a Sophia Antipolis, il parco tecnologico tra Nizza e Cannes, non lontano da quelli del colosso cinese dell’elettronica Huawei e del concorrente sudcoreano Samsung: gli sgravi di Hollande stanno portando investimenti da tutto il mondo, inclusa l’americana Microsoft. La Francia è ormai il polo europeo della ricerca, come la Germania lo è per l’industria o Londra per la finanza. Quelli che vuole non sono posti di lavoro come gli altri. Sono ricercatori, scienziati, ingegneri, programmatori. Enrico Moretti, un’economista dell’Università della California a Berkeley, stima che per ogni posto di lavoro del genere se ne generino in media altri cinque in attività accessorie: ristoranti, hotel, palestre, scuole private per i figli. Ogni cervello attratto o attivato su un distretto sprigiona un effetto moltiplicatore. Hollande per questo non bada a spese e ha rafforzato l’iniziativa lanciata da Nicolas Sarkozy, il suo predecessore. Nel 2013, i crediti d’imposta a ricerca e innovazione sono costati al bilancio di Parigi 5,8 miliardi di deficit in più. Da quest’anno il governo Renzi prova a reagire, per attirare anche in Italia cervelli dall’estero o almeno arrestare l’emorragia di quelli legati alle imprese che se ne vanno in Francia. In Legge di stabilità le risorse del credito d’imposta Ricerca e sviluppo, fortemente voluto dal ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, crescono a 500 milioni di euro. È un passo avanti sul 2013, ma resta oltre dieci volte meno che in Francia. Questa ha tutta l’aria di una battaglia impari a colpi di concorrenza fiscale per i cervelli e c’è da chiedersi se sia leale: l’Italia rispetta i tetti del Patto di stabilità sul deficit, mentre la manovra di Parigi non è stata respinta da Bruxelles benché il disavanzo viaggi da anni ben oltre le soglie. Hollande usa questo spazio di bilancio per sottrarre investimenti, posti di lavoro ad alto valore e gettito fiscale ai Paesi che affrontano sacrifici pur di evitare una procedura del Fiscal Compact. Ha senso? «Se la politica serve a qualcosa — replica Pottier dell’Agenzia francese per gli investimenti italiani — è proprio perché deve fare delle scelte e indicare priorità a costo di essere impopolare». Del resto non è tutta colpa di un credito d’imposta, se poi resta debole la base da cui partire. Secondo Eurostat, l’Italia ha circa 160mila studenti in matematica, scienze e informatica: metà che in Germania o Gran Bretagna, due terzi della Francia, meno che in Spagna. Più lealtà fiscale fa bene l’Europa, ma anche la vecchia scuola militaresca della Fiat di mezzo secolo fa potrebbe dare una mano.