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- SCARPE BASKET air max nere e fuxia ,clothing and accessories for men on solarissport. New arrival Luxury Items in Stock, air max nere e fuxia up to 50% off Le mafie come metodo e modello - Repubblica.it Mafia e Sicilia sono due nomi indissolubilmente legati. In questa identificazione balena a volte, tra gli storici e gli studiosi del fenomeno, una convinzione di unicità, di specificità, quasi a dire che ciò che si è condensato nel significato di mafia sarebbe incomprensibile senza la Sicilia e la sua storia, che non ci sarebbe stata, e non ci sarebbe, mafia senza la Sicilia, senza i siciliani e senza ciò che lì è avvenuto tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento. Stanno proprio così le cose?La mafia siciliana non è l’unico fenomeno di tipo mafioso prodottosi nella storia italiana e meridionale. È sicuramente quello più conosciuto e studiato. Ma contemporaneamente alla nascita e allo sviluppo della mafia in Sicilia, in altre due regioni meridionali, anch’esse governate prima dell’Unità d’Italia dallo stesso regime politico e istituzionale, si sviluppavano fenomeni similari che hanno conosciuto poi la stessa lunga durata storica. Tre fenomeni con le stesse caratteristiche e nello stesso frangente storico si sviluppano in tre aree diverse dell’Italia meridionale. E un quarto, la Sacra Corona Unita, alla fine degli anni Settanta del Novecento in Puglia. Se tre fenomeni criminali sono coevi, nascono e si consolidano sotto lo stesso regime politico preunitario, e si affermano oltre ogni previsione a partire dall’Unità d’Italia in poi, forse è il caso di guardare all’insieme delle comuni circostanze storiche alla base della loro origine e del loro successo. L’impressione è che si tratti di un comune modello vincente, che definiamo appunto «modello mafioso», più interessante da analizzare delle specifiche e indubbie differenze tra le tre mafie.LEGGI L'ANTEPRIMA DEL NUMERO DI LIMESCerto, ogni organizzazione criminale ha una sua singolarità, un nome proprio, un’identità ben precisa, un autonomo svolgimento: nasce e prospera in un determinato ambiente storico, economico, sociale, culturale e politico. Tuttavia è facile notare come tra diversi agglomerati criminali molti sono i punti di contatto, i nessi, le interconnessioni, le similitudini. Le cose che le accomunano sono altrettanto evidenti di quelle che le differenziano. Lo specifico siciliano non consiste nell’aver prodotto un fatto storico unico, la mafia appunto, ma nell’aver plasmato in maniera originale un fenomeno che si produceva anche altrove nello stesso periodo. [...] Insomma, studiare separatamente le mafie italiane crea più problemi storici di quanti si intendano risolvere.La camorra si chiamerà da subito camorra, la mafia acquisirà ufficialmente questo nome solo nel 1863 (ma già avevano avuto corso fenomeni di tipo mafioso fin dalla prima parte dell’Ottocento con il nome di Fratellanze o altri fantasiosi appellativi, con modalità d’azione e di organizzazione molto simili fra loro), mentre la ’ndrangheta si chiamerà così solo nel secondo dopoguerra, anche se il nome compare per la prima volta in un processo del 1908, mentre prima aveva avuto diversi nomi, come Onorata Società, Famiglia Montalbano, Picciotteria, Camorra, Fibbia. Dunque, tutte e tre le organizzazioni criminali nascono nello stesso periodo storico, all’inizio dell’Ottocento, a ridosso della fine del feudalesimo (nel 1806 a Napoli e nelle province continentali, nel 1812 in Sicilia), a imitazione delle associazioni politiche segrete in cui gli oppositori al regime assolutistico borbonico si erano organizzati. Il loro luogo di aggregazione sono le carceri e l’esercito. Non è corretto però affermare che le tre organizzazioni di sicuro nascano nelle carceri; più realisticamente si può affermare che il carcere è il principale luogo di diffusione e di socializzazione delle regole delle tre mafie.Il carcere, infatti, era per antonomasia luogo di potere della camorra, come testimonia il suo primo studioso, Marc Monnier. Il comandante militare dell’isola di Ponza, luogo storico di detenzione di camorristi, scriveva al questore di Napoli nel 1863 facendogli presente che «alcuni camorristi, appena arrivati, avevano preteso il contributo da ogni altro recluso e che per ottenere il loro scopo non avevano esitato a picchiarli a sangue».Da considerare che il controllo sulle carceri continuerà a essere nel tempo una delle costanti del potere mafioso e camorristico fino all’introduzione del 41 bis (il carcere duro). L’Ucciardone era dominato dai mafiosi siciliani e Cutolo aveva il controllo fisico di diverse prigioni, a partire da quella di Ascoli Piceno dove si svolsero le trattative per la liberazione dell’assessore democristiano della Campania, Ciro Cirillo, nel 1981. Cutolo è stato l’unico capo mafioso a costruire un’organizzazione criminale potentissima stando quasi tutta la vita in carcere e reclutando da lì il suo esercito di giovani criminali, cui forniva, con il ricavato delle estorsioni, vestiti, assistenza legale e sostegno per le famiglie. Non c’è in tutta la storia del crimine un caso analogo.Era nelle isole di confino e nelle carceri che i delinquenti e i violenti provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria, da Napoli città e dalle zone circostanti incontravano gli oppositori borbonici incarcerati per cospirazione, per la maggior parte aderenti a sètte politiche segrete. Senza questo incontro non ci sarebbero stati gli statuti, i rituali, i vari gradi di affiliazione, che sono copiati in gran parte dagli statuti delle società segrete massoniche e carbonare. Le associazioni criminali, che poi chiameremo mafie, si organizzano sul modello politico delle sètte segrete dei ceti aristocratici e borghesi. È questa la principale novità rispetto a tutte le altre forme organizzate violente che hanno preceduto le mafie, dai pirati ai banditi, dai briganti ai grassatori. Nello statuto della camorra, al primo articolo, è scritto che «La Società dell’Umiltà o Bella Società Riformata ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente». Sembra una delle regole principali della massoneria. Sempre nello statuto della camorra c’è la divisione tra Società Maggiore e Società Minore, così come nella massoneria. La camorra si presenta, insomma, come una massoneria violenta della plebe. Ma anche la mafia siciliana può essere paragonata alla massoneria, secondo il parere di due mafiosi, Nick Gentile e Tommaso Buscetta. Anche la ’ndrangheta prevede una differenziazione tra Società Maggiore e Minore e nel corso della sua storia, oltre a copiarne le modalità organizzative, stabilirà rapporti permanenti con molte organizzazioni massoniche.Della camorra, cioè dell’organizzazione segreta criminale i cui membri sono chiamati camorristi, si hanno notizie fin dal 1820, e gli atti della polizia e la letteratura ne registreranno l’attività e la presenza già molto prima dell’Unità d’Italia, soprattutto attraverso i romanzi a puntate di Francesco Mastriani. Sarà la camorra la prima organizzazione di tipo mafioso, anticipando di qualche decennio la nascita della mafia siciliana. La parola «camorra» intesa come casa da gioco o come gioco d’azzardo era già presente nel Settecento. In una prammatica del 1735 vengono autorizzate dal re otto nuove case da gioco, una delle quali si chiama «camorra avanti palazzo». Il termine mafia, invece, compare dopo che la «cosa», cioè l’attività mafiosa sotto altri nomi, era già attiva prima del 1860, com’è testimoniato da una lettera del 1838 del procuratore di Trapani Pietro Ulloa al re delle Due Sicilie e dai rapporti dei procuratori generali delle Corti criminali di Messina, Girgenti e Palermo tra il 1830 e il 1840. Già nel 1828 il procuratore generale di Girgenti (Agrigento) parlava di un’organizzazione «di oltre 100 membri di diverso rango i quali riuniti in fermo giuramento di non rivelare mai menoma circostanza delle loro operazioni, a costo della vita e conservano a difesa comune una somma considerevole di denaro in cassa». Stessa cosa per la ’ndrangheta: quando l’attività di mafiosi calabresi verrà conosciuta sotto la dizione di ’ndrangheta, essa sotto altri nomi era già operante dall’inizio dell’Ottocento.Insomma, è differente il momento in cui le tre organizzazioni di tipo mafioso verranno conosciute con il nome con cui sono note oggi, ma le attività di tutte e tre sono attestate (anche se con nomi diversi) nello stesso periodo storico, cioè all’inizio dell’Ottocento, sotto il regime dei Borbone, alla fine del feudalesimo.[...] Il rapporto tra fine ritardata del feudalesimo e mafie ha una sua fortissima suggestione storica.Si ritiene, in genere, che la ’ndrangheta non abbia la stessa lunga presenza storica di mafia e camorra, ma ciò è frutto di un’incredibile sottovalutazione della mafia calabrese. La ’ndrangheta ha conosciuto un cono d’ombra lunghissimo dovuto alla perifericità della Calabria nella storia italiana, prima e dopo l’Unità. Inoltre i numerosi episodi di sangue avvenivano in piccolissimi Comuni e non avevano dunque la stessa risonanza dei delitti di grandi città come Napoli e Palermo. Quella che noi oggi chiamiamo ’ndrangheta esisteva sotto altro nome ben prima dell’Unità d’Italia, nel Reggino almeno dagli anni Trenta dell’Ottocento. Il primo annullamento di un’elezione comunale per «un’utilizzazione politica di elementi mafiosi nella lotta amministrativa» avviene proprio a Reggio Calabria già nel 1869. Non dimentichiamo inoltre che un ruolo importante la ’ndrangheta lo svolse già nella costruzione della ferrovia tirrenica negli anni Ottanta dell’Ottocento.Perché questa sottovalutazione della ’ndrangheta sia durata fino ai giorni nostri è questione non ancora risolta. Tra il 1970 e il 1988, la ’ndrangheta ha effettuato ben 207 sequestri di persona, di cui 121 in Calabria e gli altri nel Nord Italia, accumulando risorse tali da consentirle di partecipare da protagonista ai lavori per la costruzione del quinto centro siderurgico a Gioia Tauro e dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, per poi ritagliarsi un ruolo centrale nel traffico internazionale di stupefacenti. Eppure l’attenzione su di essa non superava fino a poco tempo fa qualche riferimento folcloristico sui rifugi dell’Aspromonte e qualche similitudine con il banditismo sardo. Si è trattato di un’imperdonabile leggerezza degli apparati di sicurezza del nostro paese. Stessa sottovalutazione ha accompagnato le camorre napoletane e campane nel secondo dopoguerra. Incredibile il vantaggio dato dagli inquirenti nel considerare il contrabbando di sigarette un’attività tutto sommato assimilabile all’arte del sopravvivere, piuttosto che a una vera e propria impresa criminale. È con il contrabbando di sigarette che le camorre assumono un loro ruolo nello scacchiere nazionale e internazionale del crimine, si introducono anch’esse nel business della droga e si ritrovano con una notevole disponibilità di capitali a ridosso del terremoto che colpì la Campania nel 1980, così da poter svolgere un ruolo centrale nella ricostruzione. Dunque, quando la mafia siciliana occupa la scena criminale e monopolizza l’attenzione della pubblica opinione, della politica e degli apparati di sicurezza, a partire dalla metà degli anni Sessanta del Novecento camorre e ’ndrangheta non erano «silenti»; solo che su di esse non c’era l’attenzione degli investigatori dello Stato. Nessuna criminalità diventa da un giorno all’altro così potente se non ha un lungo retroterra storico, un lungo «apprendimento», una lunga sedimentazione alle spalle (e una lunga disattenzione delle forze di sicurezza). Invece è più difficile trovare notizie storiche di una «cosa» mafiosa in Puglia prima degli anni Settanta del Novecento, cioè prima che si manifestasse con il nome di Sacra Corona Unita. Enzo Ciconte ci parla di due processi di fine Ottocento, uno a Bari nel 1891 con 179 imputati e uno a Taranto nel 1893 con 103 imputati, che riguardavano un’organizzazione composta da delinquenti pugliesi che copia i riti, i codici e i comportamenti della camorra napoletana. Negli atti del primo processo si parla di un’affiliazione alla consorteria già nel 1870, che quindi consente di far risalire almeno a tale data l’inizio della sua presenza a Bari e provincia. Non sappiamo se in Puglia operassero organizzazioni malavitose ben strutturate e coese prima dell’Unità d’Italia, anche se contraddistinte da un nome diverso. [...]Durante tutta la loro storia, Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra hanno comunicato e imparato le une dalle altre. Le tracce di questa storia comune sono visibili nel linguaggio che le unisce. Ci sono, infatti, diversi elementi che confermano l’ipotesi di una nascita coeva delle tre organizzazioni mafiose meridionali e un loro reciproco influenzarsi e copiarsi fin dalle origini. Della camorra e della ’ndrangheta ci sono arrivati degli statuti scritti (quello della camorra è addirittura del 1842), mentre la mafia siciliana ha trasmesso oralmente le proprie regole fin quasi ai nostri giorni; solo recentemente sono stati trovati i «dieci comandamenti» mafiosi scritti per mano del boss Salvatore Piccolo, che somigliano molto ai dieci comandamenti della ’ndrangheta che Gratteri e Nicaso hanno dettagliatamente ricostruito. Così come sono simili alle regole che la camorra napoletana si era data nel «frieno», il suo statuto del 1842. Tra le tre, la mafia siciliana è quella che meno si è fidata di una trasmissione delle regole attraverso la scrittura. Ma all’inizio anche la mafia siciliana era dotata di statuti scritti, di cui abbiamo traccia fino al 1877 (lo statuto degli Stoppaglieri di Monreale). Poi, dopo i processi di fine Ottocento, tali documenti vennero eliminati per non danneggiare l’organizzazione. Negli statuti e nei codici scritti della ’ndrangheta si usa un linguaggio simbolico, magniloquente, esoterico, che serve a rafforzare legami di appartenenza e di fedeltà, ma si capisce facilmente che la stesura è fatta da persone illetterate. È difficile spiegare perché la più chiusa delle organizzazioni mafiose, cioè la ’ndrangheta, abbia potuto fare arrivare fino a noi numerosi codici rinvenuti in varie parti della Calabria, in alcune regioni del Nord e anche all’estero. Può essere capitato che difettando la memoria a persone che protraevano il loro potere fino alla tarda età (alcuni testi sono fatti di molte pagine fitte e di tantissime frasi da pronunciare) si sia sentito il bisogno di scrivere i testi per paura di dimenticarli. [...]Le mafie fin dall’inizio copiano il modello organizzativo delle classi dominanti dell’epoca. Si può parlare quasi di mafia «scimmia» delle classi dominanti. All’inizio dell’Ottocento le classi dirigenti si organizzano in sètte segrete per contare di più all’interno dei regimi politici dominanti o per opporsi politicamente ai governi assolutistici, e le classi popolari si organizzano anch’esse in sètte segrete per contare di più e per stringere relazioni. È una novità assoluta nelle forme di partecipazione alla vita politica e sociale. Nello statuto della camorra e nei rituali della ’ndrangheta si usa spesso la parola «compagno» così come il compagno libero muratore era il secondo grado massonico tra quello di apprendista e quello di maestro. I massoni definiscono la loro struttura «famiglia massonica», e «famiglia» viene chiamata dai mafiosi siciliani la loro struttura territoriale. I massoni si chiamano fratelli fra di loro, così come gli ’ndranghetisti. Ancora: nelle varie versioni della cerimonia di ammissione alla ’ndrangheta una cosa è rimasta inalterata nel tempo: lo scambio di domande e risposte tra uno dei vecchi appartenenti e il nuovo adepto, per verificare la consapevolezza del nuovo entrato della tradizione ’ndranghetista. Il rito di iniziazione basato su domande e risposte è tipico della massoneria. Non è un caso che lungo la loro autonoma storia, mafie e massoneria si intrecceranno più volte, fino ad arrivare alla fine del Novecento da parte della ’ndrangheta alla costituzione di un grado di appartenenza detto «la Santa», dove confluiranno i vertici dell’organizzazione e diversi massoni. Insomma, da questo punto di vista sono più che provati i rapporti tra mafie e massoneria: all’inizio è la massoneria a influenzare con i suoi riti segreti e con i suoi codici gli statuti orali e scritti delle mafie; in un secondo momento sarà una parte della massoneria a stringere rapporti con le mafie, in particolare con la mafia siciliana e poi con la ’ndrangheta. In definitiva, i rituali accompagnano nella storia le tre mafie italiane; all’inizio è la camorra a usarli, almeno fino al primo Novecento, per poi abbandonarli per più di un cinquantennio fino alla loro reintroduzione ad opera di Raffaele Cutolo.Oggi non ci sono prove di un uso di rituali nell’affiliazione camorristica. Nella mafia siciliana le modalità di affiliazione si sono mantenute sostanzialmente inalterate per più di un secolo e mezzo. I riti di iniziazione, anche con ripetuti riferimenti alla religione, sembrano essere una delle caratteristiche della criminalità di tipo mafioso nel mondo. Infatti, sono in uso anche nelle triadi cinesi, nella yakuza giapponese e nella mafia russa. Essi creano un senso di appartenenza forte, danno la convinzione di appartenere a un’élite criminale, di non essere confusi con la delinquenza comune, ma soprattutto servono a nobilitare la violenza, a darle un valore sociale. Perciò i riti di affiliazione sono sconosciuti nelle criminalità organizzate di tipo non mafioso. Ed è la ’ndrangheta a sorprendere in questo meticoloso richiamo ai riti del passato. C’è, dunque, un’evidente filiazione delle società mafiose dal modello della massoneria e dalle società segrete risorgimentali. La dimensione simbolica-rituale viene da lì. I riti e la segretezza erano finalizzati al passaggio del concetto di onore verso gli strati non aristocratici o possidenti della società. La «fratellanza di sangue » è tipica delle società che non accettano più il potere derivante dall’ereditarietà ma dal sangue, cioè dal proprio valore. Il valore è dato dalla propria personalità, dalle proprie «qualità», non dalla condizione sociale ereditata. E la violenza con il rito si libera dalla sua animalità e diventa valore sociale e culturale. Dai nobili i mafiosi copiano soprattutto il modello di erogare violenza e sfuggire alla punizione. Anche il concetto di «onore» è di derivazione aristocratica, sia nel senso spagnolesco di chi non è obbligato alla fatica fisica per procurarsi ricchezza, sia nel senso di farsi obbedire. Infatti nel sistema feudale l’onore era abbinato all’obbedienza, non aveva a che fare con la morale o con la dignità. Con le mafie la concezione dell’onore non è più esclusivo appannaggio del ceto nobiliare. Perciò l’uccisione in agguati, il tradimento e la brutalità sono compatibili nelle mafie con il concetto di onore: chi tradisce merita la punizione violenta perché non ha rispettato l’onore del tradito (cioè l’obbedienza). Il traditore è un infame, è un «mezzo uomo», non degno del rispetto per la sua vita. L’ideologia mafiosa è razzista in un senso del tutto originale, perché non è legata al colore della pelle o al luogo di nascita o al ceto di provenienza; si lega unicamente al concetto di onore e dunque di obbedienza: chi non rispetta questa regola perde lo statuto umano e diventa un hostis, un esterno alla categoria degli «uomini». E verso gli hostes, gli infami, i non rispettosi dell’onore, qualsiasi violenza è del tutto giustificata.[…] È interessante cogliere la differenza tra la criminalità urbana di città come Londra e Parigi, e quella presente a Napoli. La principale consiste in questo: la camorra napoletana si organizzerà in setta, sul modello delle organizzazioni politiche coeve della nobiltà e della nascente borghesia. Sarà una criminalità organizzata, con una struttura capillare che dominerà su tutta la città e su tutte le numerose attività illegali che vi si svolgevano. Invece, a Parigi e Londra, pur essendoci forme organizzate di ladrocinio, non esistevano vere e proprie sètte di delinquenti, riti di iniziazione e giuramenti. Insomma l’organizzazione nelle altre due metropoli europee era limitata ai mendicanti e ai ladri, settori della società non in grado di ergersi a potere autonomo e di influenzare la politica e la società. Erano associazioni di tagliaborse e di mendicanti che non si trasformarono in mafiosi. Il riassorbimento del sovraffollamento plebeo e la limitazione della criminalità urbana da accattonaggio sono alcune delle particolarità della formazione della Parigi e della Londra moderne all’interno delle loro funzioni di capitali di nazioni industrializzate e di vasti imperi coloniali. A Napoli ciò non è avvenuto, il riassorbimento non c’è stato; così essa resta l’unica metropoli tra quelle che hanno contribuito a formare la storia e la cultura europee a trascinarsi dietro il peso di una criminalità urbana da sottoproletariato che con diversa intensità, ruolo e pericolosità ha accompagnato stabilmente le varie tappe della sua trasformazione urbana e sociale. Invece nel resto del territorio italiano, sia prima che dopo l’Unità, la criminalità si presentava come un problema delle campagne, dei contadini e dei pastori. Manterrà questa caratteristica anche dopo l’avvio in ritardo della nostra industrializzazione, a fine Ottocento. Ma la differenza non era (come si riterrà in seguito) tra mafia rurale e mafia urbana, bensì tra criminalità occasionale e criminalità strategica. Infatti ciò che caratterizzerà i fenomeni mafiosi in Italia non sarà il loro restringersi in campagna o nel latifondo, ma la capacità di esportare il metodo mafioso (arricchirsi con la violenza, integrandosi nella società) in tutte le attività economiche, legali o illegali che fossero. Non ci sono la mafia rurale e quella urbana una contrapposta all’altra o in successione (un prima e un dopo). Non sono fenomeni distinti: lo prova il fatto che si affermano contemporaneamente la mafia siciliana e la camorra napoletana, una a partire dal latifondo, l’altra nella capitale del regno borbonico.Ma anche in Sicilia questa differenza era quasi inesistente. L’agricoltura in Sicilia era la base dell’economia e chi vi attendeva (nel ruolo che svolsero i mafiosi) aveva stabili relazioni con le città, in particolare con Palermo. In questo senso le differenze tra mafie rurali e urbane, tra mafie del latifondo e dei giardini, e successivamente tra mafie dell’edilizia e mafie della droga sono solo indicazioni dei settori diversi su cui si applicava e si applicherà lo stesso metodo violento. Se le campagne erano il luogo della produzione, le città erano il luogo della distribuzione, del consumo e dell’avvio delle merci ai mercati esteri, tutte attività che necessitavano di relazioni e di mediazioni.Cercare le origini della mafia in una sola attività, in un solo settore economico o in una sola classe è un errore. Mafia è innanzitutto un metodo, una modalità di arricchimento. Coloro che hanno appreso questo metodo danno vita a un’organizzazione con lo scopo di arricchire i sodali. E l’applicazione di questo metodo può attagliarsi a diversi periodi storici, a diverse attività, a diverse classi. Non è dunque il latifondo che caratterizza la mafia siciliana, ma è la mafia tutt’al più a caratterizzare il latifondo. Quindi non ci sono tante mafie a seconda del settore, del periodo storico o delle diverse classi sociali che le caratterizzano. Allo stesso modo non ci sarà contrapposizione tra mafia imprenditrice e mafia predatoria e parassitaria, tra mafiosi plebei e contadini e mafiosi dei quartieri alti, o tra bassa e alta camorra. È semplicemente il comune metodo mafioso che si adatta al variare del contesto storico e delle opportunità di arricchimento.Le organizzazioni mafiose si genereranno senza avere una causa diretta e immediata con la povertà, anche se i suoi primi seguaci verranno dalle classi povere della società dell’epoca, cioè dalla classe dei contadini e dei pastori, e a Napoli città dalla plebe dei bassifondi. Le mafie fin da subito si presentano come forme di ascesa sociale tramite la violenza. Ed è questa la novità e l’originalità, perché la violenza come forma di realizzazione di potere e benessere era stata usata solo dalle classi superiori e mai da quelle inferiori della scala sociale. Con le mafie la violenza si dirozza, con essa i mafiosi raggiungono un potere e un benessere che nessuna forma criminale popolare prima di loro era riuscita a ottenere.La criminalità di tipo mafioso è l’unica forma di violenza popolare che ha avuto successo pur non derivando dai ceti possidenti, dalla ricchezza già posseduta. Questa la differenza fondamentale. I mafiosi non sono, come gli altri criminali, una classe di individui violenti separata dal resto della società, un corpo estraneo non assimilabile e integrabile. Essi non sono accompagnati da riprovazione sociale, ma da elogi e riconoscimenti anche da parte di figure istituzionali. I mafiosi non sono persone da evitare, da tenere a distanza, anzi è meglio e utile averci a che fare. A quali violenti appartenenti agli strati popolari era stato mai concesso tanto nella storia?L’altra originalità delle mafie, rispetto alle criminalità che le avevano precedute, consiste nel rapporto con i ceti proprietari e con quelli dominanti. Mentre gli altri violenti che venivano dal popolo avevano un rapporto predatorio con essi (provavano a togliere loro un po’ di ricchezza con le estorsioni, i sequestri, il furto di animali) o stavano al loro servizio per difesa personale e per intimidirne gli avversari, i mafiosi – pur difendendo gli interessi dei ceti proprietari – stabiliscono rapporti paritari, non più subalterni con i potenti. [...]Le mafie italiane hanno sempre rispettato il loro reciproco insediamento territoriale senza che nel corso della storia ci sia stato un «attacco» da parte di una di esse al territorio delle altre. Hanno rispettato i confini regionali. Ci sono state alleanze e scontri su singoli affari e settori di attività, ma mai uno scontro militare che abbia coinvolto tutte le parti in causa. Ciò dimostra proprio il fatto che il successo delle mafie non è dovuto al loro carattere militare, perché è tipico dell’organizzazione militare l’occupazione di territori altrui. Le mafie non invadono territori di altre mafie, ma contendono affari. Mai la contesa di questi affari le porta ad aspirare alla conquista di quel territorio regionale storicamente appannaggio delle loro «sorelle». Quando per necessità relativa ad alcuni affari (come nel periodo del contrabbando di sigarette) i clan mafiosi si sono trovati a operare a Napoli, hanno scelto la strada di cooptare all’interno delle famiglie mafiose alcuni esponenti della camorra. […]Dunque, in nessun’altra nazione alle prese con fenomeni di tipo mafioso esistono differenze regionali così marcate tra organizzazioni similari. La regionalità e, al tempo stesso, la sostanziale uniformità dei fenomeni mafiosi italiani è un tratto di assoluta originalità nel panorama della criminalità globale..

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Maltempo, tre morti al Nord. Scontro Burlando-Renzi: colpa di condoni fatti a Roma - Repubblica.it VARESE - Come previsto, la forte ondata di maltempo che ha colpito l'Italia Nord occidentale offre questa domenica una breve tregua. Ma da lunedì è previsto un forte peggioramento, in coincidenza di un'ulteriore perturbazione che porterà ancora abbondanti piogge al Centronord, in estensione nel pomeriggio al resto del Settentrione, al Lazio, all'Umbria, al nord delle Marche, alla Sardegna, in serata anche in Abruzzo e nel nord della Campania. Secondo le previsioni, da mercoledì il ritorno dell'alta pressione garantirà per più giorni una fase di tempo bello e stabile su tutto il Paese. Ma l'attenzione è rivolta alle piogge in arrivo a inizio settimana, con la Protezione civile che aggiorna di ora in ora l'allerta meteo regione per regione. IL METEOMentre istituzioni e Protezione civile sono alle prese con il bilancio dei danni e lo studio degli interventi più urgenti da attuare in previsione dell'annunciato peggioramento del meteo, la politica mette a nudo la distanza tra la visione degli amministratori locali e il governo centrale sul problema del rischio idrogeologico di cui è preda il Paese. Per il presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, "per salvare vite umane" alle Regioni deve essere concesso di stornare i costi sostenuti per l'emergenza dai vincoli imposti dal Patto di Stabilità. Dall'Australia, caustica stilettata di Matteo Renzi: per il premier, sull'emergenza maltempo ci sono "20 anni di politica regionale da rottamare". "Il problema del territorio di cui parla il presidente del Consiglio è legato anche ai condoni edilizi. Non li ha fatti il premier e non li abbiamo fatti noi, ma sono stati fatti a Roma. Tre condoni in 30 anni", replica il presidente della Liguria Claudio Burlando. In serata la controreplica del capo del governo: "Non parlino di condoni a me, io ho fatto un piano a volumi zero...Ora pensiamo a mettere a posto i danni". La questione dei costi dell'emergenza è stringente. Perfetto l'esempio della Liguria, con il governatore Burlando che lamenta: "Regione devastata, danni per un miliardo di euro. Purtroppo di questo miliardo sarà possibile recuperare soltanto una quota minima. La Regione può fare poco, può passare da 50 a 60, 65 milioni, il sistema degli enti locali arriverà a un centinaio di milioni, poi però interviene il Patto di Stabilità". L'assessore ligure al Bilancio, Pippo Rossetti, suggerisce un intervento finanziario dell'Ue "ai sensi dell'art 122 del trattato dell'Unione" che lo prevede "qualora uno Stato membro sia minacciato da gravi difficoltà per calamità naturali o circostanze eccezionali". E, aggiunge Rossetti, "dovrebbe richiederlo Renzi nel corso del semestre di presidenza italiano, per realizzare, al di fuori dei vincoli di bilancio dello Stato, cioè il deficit sotto il 3%, un piano straordinario nazionale di difesa del suolo che potrebbe valere 100 miliardi". Domani il sottosegretario Graziano Delrio e il capo del Dipartimento della Protezione civile Franco Gabrielli andranno nelle zone alluvionate.Grillo attacca sul blog: "Tra un po' Genova scivolerà in mare e nessuno avrà alcuna responsabilità. La colpa sarà della pioggia. La manutenzione ordinaria non genera maxi tangenti, al contrario delle Grandi Opere come il Mose o la Tav, non convengono ai partiti". E ancora: "Ma in che Paese vivono Renzie e Alfano? In quello delle fate? Hanno una bomba sotto il culo e morti di pioggia sulla coscienza e fanno solo comizi. In Australia fa caldo (...), intanto qui si muore affogati per strada. Ma, come nel film Il Corvo: 'Non può piovere per sempre'".Passando alla cronaca, si registrano due vittime in Lombardia. A Cerro di Laveno, in provincia di Varese, una villa è crollata travolta da una frana, uccidendo un uomo di 70 anni e la nipote, una ragazza di 16 anni. Nella casa c'erano cinque persone, i tre superstiti sono i genitori della ragazza e la moglie del 70enne. L'uomo è stato trovato dai vigili del fuoco sotto le macerie, mentre la giovane è stata trovata fuori dell'abitazione, sommersa dal fango. E' spirata subito dopo l'arrivo al pronto soccorso. Il pm di Varese Giulia Troina ha acquisito la documentazione sui lavori effettuati negli anni sul versante della collina franato sulla villa, per l'eventuale apertura di un fascicolo. Una vittima anche in Piemonte. E' infatti da collegare al maltempo l'incidente stradale della tarda serata di ieri in provincia di Cuneo, in cui ha perso la vita una ragazza di 21 anni. La sua auto ha sbandato alla periferia di Alba, è finita fuori strada e si è ribaltata nel rio Baraccoi, ingrossato dalle intense precipitazioni. La ragazza è annegata. E' ancora emergenza nell'alessandrino, da ieri alle prese con la piena del Bormida e piogge che hanno provocato esondazioni, allagamenti e frane. La situazione più difficile, questa mattina, a Cassano Spinola, dove i circa 1.700 residenti sono rimasti senz'acqua a causa delle infiltrazioni di fango nelle vasche dell'impianto dell'acquedotto comunale. Il sindaco di Alessandria e presidente della Provincia, Rita Rossa, solleva un grave dubbio, alimentato dalle denunce di manomissioni da parte di agricoltori della zona: "Abbiamo dovuto gestire situazioni di acqua anomala, probabilmente ci troviamo di fronte a episodi di inciviltà. Condizionale d'obbligo, ma il canale Deferraris era rotto, forse un danno procurato per evitare l'esondazione in un campo". Sull'episodio, nella zona di San Michele sono ora in corso accertamenti da parte della questura di Alessandria. "In quella zona il Tanaro era sotto i livelli di attenzione, per cui non c'erano ragioni per tutta quell'acqua".In Lombardia, Milano sta tornando lentamente alla normalità dopo l'esondazione del Seveso e del Lambro. Il Comune ha deciso di stanziare due milioni di euro come contributo dopo l'esondazione. I problemi più gravi si sono registrati nelle zone di Niguarda e viale Sarca, ancora senza corrente elettrica a causa di un paio di centraline allagate. Nel nord-ovest della regione, nelle province di Como, Lecco, Sondrio e Varese, resta elevata la criticità per rischio idrogeologico-idraulico. Quattro frane si sono registrate nelle ultime ore in provincia di Bergamo, evacuate alcune famiglie. Resta sotto controllo il livello dell'Adda, dopo che nella notte sono state tratte in salvo sei persone a Cassano d'Adda (Milano). In provincia di Pavia è sprofondato uno dei ponti sul torrente Staffora, per il cedimento di una delle strutture portanti. Chiuso il traffico lungo la provinciale 1 Bressana-Salice Terme.Altre vittime in Canton Ticino. Due donne di 38 e 34 anni sono morte, nella notte, a Davesco-Soragno, villaggio situato sulle alture di Lugano, sotto le macerie della loro casa, travolta da una frana. Nell'abitazione vivevano altre persone: cinque risultano ferite, in gravi condizioni un cittadino italiano di 44 anni. Sale così a 4, in 10 giorni, il bilancio delle vittime del maltempo nel Canton Ticino. Il 6 novembre, sotto una frana, erano morte una donna di 31 anni e la sua bambina di 3.Mentre a Genova sono ancora in corso le ricerche del 67enne disperso da ieri, si cercano anche 70 bare trascinate via dall'esondazione Polcevera dopo il crollo di un muraglione del cimitero della Biacca a Bolzaneto, nel ponente cittadino. Il cimitero è chiuso e presidiato dai carabinieri. Crollo anche a Bordighera, dove la scorsa notte ha ceduto un muraglione che si è abbattuto su Villa Regina Margherita, sede di una parte della Collezione Terruzzi, investendo una dependance del museo.L'arcivescovo di Genova cardinale Angelo Bagnasco, dopo la nuova e devastante alluvione che ha colpito il capoluogo ed il ponente ligure, ha invitato "tutti i genovesi a non lasciarsi abbattere da questi gravi avvenimenti e a dare sempre prova della loro grinta e della loro volontà e a reagire positivamente". In Liguria, sta tornando lentamente alla normalità la circolazione tra Genova e la Francia, resi critici dalla chiusura dell'autostrada A10 e della ferrovia a causa del maltempo. Poco prima delle 14 è stata riaperta l'A10 tra i caselli di Albenga e Borghetto. Era stata chiusa la notte scorsa per la caduta di cavi dell'alta tensione. Intorno alle 17 è stato riaperto il tratto tra gli svincoli di Genova Voltri e Genova Pegli, in direzione del capoluogo ligure, interessato da una frana. Il traffico scorre su una corsia in direzione Genova. Dalle ore 21 di questa notte e fino alle ore 7 di domani il tratto verrà nuovamente chiuso per gli interventi di stabilizzazione del movimento franoso. Sarà possibile utilizzare in alternativa la SS1 Aurelia, riaperta sempre a Borghetto, a senso unico alternato. Le Ferrovie hanno riaperto nel pomeriggio la linea Savona-Ventimiglia, interrotta da ieri tra le stazioni di Albenga e Andora per allagamenti e danni all'infrastruttura. Ma già si guarda al peggioramento di lunedì. La Protezione civile regionale ha previsto dalle 24 di oggi alle 24 di domani il livello massimo di allerta, il 2, nei bacini marittimi di levante, dal Tigullio alla Spezia. Allerta 1 per la zona da Noli a Portofino compresi i bacini interni delle valli genovesi dello Scrivia, Trebbia e Aveto. Criticità ordinaria sul ponente ligure e la Val Bormida. L'assessore allo Sport del Comune di Genova, Pino Boero, ha confermato che si giocherà la partita amichevole tra Italia e Albania in programma martedì prossimo allo stadio Ferraris. La partita era stata organizzata per raccogliere fondi per gli alluvionati. Il sindaco, Marco Doria, ha ringraziato la Figc per la disponibilità. In Emilia, la Protezione civile ha aggiornato l'allarme per la piena del Po nel piacentino, dove si registrano significativi innalzamenti. Il colmo arriverà nella tarda serata, o in nottata, con un livello previsto di circa 8 metri, superiore di circa 1 metro sul precedente, transitato tra giovedì e venerdì. Allertati i comuni rivieraschi del piacentino e del parmense.In Veneto, la Protezione civile regionale presta massima attenzione in provincia di Vicenza e Padova alla piena del Bacchiglione. Nel vicentino sono segnalati modesti allagamenti a Campedello e Cornedo. E' in corso il monitoraggio dei fiumi con squadre di volontari. In provincia di Rovigo, sorvegliato speciale il Po, con la piena attualmente in transito a Polesella con un livello di circa 7.90 metri.Per domani, dalle 8 alla mezzanotte, nuova allerta meteo per possibili allagamenti, esondazioni e frane anche in Toscana, dove la Protezione civile presta una sorveglianza speciale al torrente Carrione a Carrara. L'allerta meteo con rischio idrogeologico-idraulico riguarda i bacini di Magra, Versilia, Serchio, Basso Serchio, Sieve, Medio Valdarno, Ombrone Bisenzio, Valdarno Inferiore, Reno Santerno, Foce Arno, Cecina, Cornia, Isole, Elsa, Era, Ombrone grossetano, Greve Pesa, Orcia, Bruna, Albegna, Flora.Nel Lazio, la Protezione civile avverte che dal pomeriggio di lunedì, e per le successive 12-18 ore, si prevedono precipitazioni a carattere di rovescio o temporale, con possibili grandinate, frequente attività elettrica e forti raffiche di vento. Dal mattino di lunedì e per le successive 18-24 ore si prevedono, in estensione dal pomeriggio-sera, venti forti dai quadranti meridionali, con locali raffiche ad intensità di burrasca. Il Centro Funzionale Regionale ha adottato l'avviso di criticità idrogeologica con codice arancione (secondo grado su una scala di tre) su tutte le zone di allerta dalla tarda mattinata di domani e per le successive 24 ore. A Roma, Ama ha avviato la pulizia delle strade, con particolare attenzione alle aree dove le foglie potrebbero ostruire le caditoie impedendo il regolare deflusso delle acque. air max nere e fuxia , Una scarpa al giorno: infradito etnico di Cosmo Paris air max nere e fuxia,Stabilità, 8 emendamenti dalle minoranze Pd. I renziani: "Metodo antidemocratico" - Repubblica.it Stefano Fassina(lapresse) ROMA - Dal bonus degli 80 euro e da quello bebè ai più poveri a misure per la messa in sicurezza del territorio, per il Mezzogiorno e per il contrasto alla precarietà. Sono questi alcuni dei punti degli otto emendamenti presentati oggi alla stampa dalla minoranza Pd (Giuseppe Civati, Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre, Margherita Miotto, Gianni Cuperlo) e firmati da una trentina di deputati. Modifiche che non sono piaciute ai renziani, soprattutto sul profilo del metodo. Ad attaccare è Ernesto Carbone, responsabile innovazione della segreteria Pd: "Senza entrare nel merito dei contenuti, è davvero incredibile che parlamentari, che fino a prova contraria fanno parte di un gruppo politico, convochino una conferenza stampa per illustrare emendamenti alla legge di stabilità pensati e redatti senza tener conto di una discussione nel gruppo e nella commissione competente", dice a tal proposito Carbone. E aggiunge: "Altro che metodo democratico, altro che discussione e confronto interno. A parole si dice di volere il bene della casa comune, nei fatti ci si comporta come se non se ne facesse parte". Più soft il premier Matteo Renzi che spiega: "La leggedi stabilità 2015 si sta occupando di restituire fiducia. Si riducono le tasse in modo stabile e strutturato, a partire dalla stabilizzazione degli 80 euro e dalla riduzione delle imposte per chi crea lavoro. La approveremo definitivamente nelle prossime settimane ma quello che deve essere chiaro fin da adesso è che dal 2015 sarà più facile assumere e più conveniente dal punto di vista economico"."Vogliamo provare a correggere il segno della politica economica del governo che a nostro avviso non affronta in modo adeguato i drammatici problemi che il paese ha di fronte- ha spiegato Fassina nel corso della conferenza stampa- il primo obiettivo è il contrasto alla povertà e all'impoverimento che riguarda fasce sempre più larghe del ceto medio. Utilizziamo un indicatore di situazione economica equivalente per distribuire le risorse del bonus Irpef, i famosi 80 euro, e per distribuire le risorse del bonus bebè, che in base alla legge di stabilità del governo viene destinato anche a chi ha 90mila euro di reddito l'anno. Noi riteniamo che c'è un'emergenza povertà e vorremmo concentrare le risorse esistenti su chi ne ha più bisogno, tenuto conto dei figli a carico e della condizione economica della famiglia".Altri emendamenti concentrano la "decontribuzione" fiscale disposta dal Jobs Act "sui contratti a tempo indeterminato: specifichiamo che le risorse devono essere concentrate per trasformare i contratti precari, di qualsiasi tipo siano, in contratti a tempo indeterminato", ha osservato Fassina.C'è anche un emendamento che riguarda l'emergenza idrogeologica: "Le risorse che vengono realizzate dal programma di privatizzazioni del governo devono andare per un periodo di tre anni alla messa in sicurezza del territorio. Per un triennio- ha detto ancora Fassina- si sospende la legge che prevede l'utilizzo dei proventi delle privatizzazioni a riduzioni di debito e li si destina a interventi sul territorio".Una proposta ad hoc riguarda i dati 'agghiaccianti' del Mezzogiorno. "Lì c'è il rischio vero di desertificazione industriale, l'emigrazione ha assunto dimensioni che non conoscevamo dagli anni '50, soprattutto di giovani qualificati. Noi prevediamo che la quota di risorse che viene dal dimezzamento del confinanziamento all'europea deve rimanere al Sud, e va spesa anche attraverso poteri sostitutivi delle amministrazioni centrali, rispetto a quelle territoriali".I rappresentanti delle minoranze dem hanno chiarito che le modifiche proposte non hanno lo scopo di 'boicottare' il governo: "Per quanto mi riguarda - ha spiegato Fassina - questo è il modo di far vivere un coordinamento, a partire da posizioni di merito, non anti qualcuno, non è per boicottare. Teniamo conto dell'impianto del governo e però cerchiamo di correggerlo su punti importanti". Anche Cuperlo ha tenuto a precisare che "non sono emendamenti contrari all'indirizzo del governo, ma sono fatti con lo spirito di chi vuole migliorare la manovra, partendo dalla premessa che questo è il nostro governo".Anche Sel ha presentato oltre 260 emendamenti - 45 dei quali evidenziati come 'principali' - e una relazione di minoranza che vuole "smontare" le misure principali adottate dalla legge di Stabilità. Le proposte comprendono "il taglio alle spese militari e alle grandi opere", l'introduzione di una "imposta patrimoniale", la "rimodulazione" degli scaglioni Irpef e il superamento del tetto deficit-pil "fino ad almeno il 4%".Sulla legge di Stabilità è intervenuto anche il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan: "Mi aspetto che l'Europa riconosca la presenza di un sforzo bilancio qualitativante e quantitativamente importante e la consapevolezza che l'Italia sta facendo le riforme strutturali".

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Buy online air max nere e fuxia, Gasdotto, partono i ricorsi al Tar. Guidi: "Strategico, non rallentarne i tempi" - Repubblica.it "Evidenti illegittimità nella procedura che ha portato il ministero del'Ambiente al rilascio della Via per la realizzazione del gasdotto Tap e necessità di assoggettare lo stabilimento ai vincoli della Legge Seveso": Comune di Melendugno e Comitato No Tap ci vanno giù pesanti nei ricorsi presentati al Tar del Lazio, proprio nelle ore in cui due ministri del Governo Renzi ribadiscono la necessità non solo di realizzare l'opera quanto di stringere i tempi. I titolari degli Esteri e dello Sviluppo Economico, Paolo Gentiloni e Federica Guidi, hanno parlato a poche ore l'uno dall'altro ma espresso identici concetti. "Il progetto Tap è importante per il nostro Paese e per altri Paesi connessi alla macroregione Adriatico Ionica. Ci sono alcuni problemi che devono essere risolti ma ci stiamo lavorando con la Regione Puglia", ha detto Gentiloni. E la Guidi gli ha fatto eco: "Non vogliamo mettere a rischio di non procedere con un'infrastruttura strategica e prioritaria come è il Tap. Nel caso il consorzio proponga un nuovo approdo valuteremo la scelta, ma questo non può pregiudicare l'opera nei tempi previsti". E, alla domanda se speri nell'ingresso in Tap di un socio italiano come Snam, il ministro dello Sviluppo ha risposto che "la nazionalità dell'operatore non è una questione dirimente. Vedo con favore investimenti esteri nel nostro Paese, ma delle due opzioni, italiani o stranieri, una non è preferibile all'altra". Il Governo, dunque, tira dritto mentre la multinazionale attende con ansia la conferenza di servizi convocata per il 3 dicembre presso il ministero dello Sviluppo, prodromica all'autorizzazione unica che darà il vero via libero al gasdotto. Amministrazioni comunali e comitati ambientalisti, dal canto loro, sperano che in quella sede la Regione mantenga la promessa e neghi l'intesa, costringendo il Consiglio dei ministri a prendere in carico la questione. Nel frattempo il Tribunale amministrativo del Lazio è stato investito del compito di verificare la legittimità dell'iter seguito dal ministero dell'Ambiente per il rilascio della Via. Nei ricorsi del Comune e dei No Tap (firmati dagli avvocati Mariano Alterio, Mario Tagliaferro, Corrado Vecchio e Gabriella Cezzi De Giorgi) si parla di date sbagliate, documenti privi della firma digitale e del necessario protocollo, atti presentati dalla società in tempi non corretti e stranamente inseriti nella documentazione. Presunti errori che - a detta dei ricorrenti - non escluderebbero la possibilità di ravvisare anche reati di natura penale in capo ai funzionari del ministero dell'Ambiente. Un attacco molto pesante nel ricorso viene inoltre rivolto agli impatti cumulativi, nonché all'assoggettabilità dell'impianto alla Legge Seveso, così come indicato dalla Regione, e rispetto alla quale è stata presentata una perizia tecnica a firma dell'ingegnere Alessandro Manuelli.Il caso, comunque, per ora si ferma al Tar Lazio, che qualche settimana fa è stato anche chiamato a valutare la richiesta di Tap di sospendere l'ordinanza con cui il Comune di Melendugno ha bloccato i sondaggi nella zona in cui dovrebbe sorgere il terminale di ricezione. Alla Procura di Lecce è stato invece presentato un esposto da Alfredo Fasiello, del Comitato No Tap Salento, il quale ha chiesto di verificare il motivo per cui "Tap non ha ancora risposto in modo esaustivo alle richieste della Regione Puglia e dei Vigili del Fuoco in relazione all'applicabilità della cosiddetta Normativa Seveso", e se nell'iter autorizzativo siano state effettivamente vagliate tutte le questioni relative alla sicurezza dell'impianto. E mentre la guerra antigasdotto in provincia di Lecce va avanti, un nuovo fronte coinvolge la vicina Taranto e anche Brindisi, ovvero quello della battaglia contro le trivelle. Alla luce delle numerose richieste giunte negli ultimi mesi per perforare i fondali del mar Ionio e dell'Adriatico, e viste anche le facilitazioni determinate dal decreto Sblocca Italia, gli amministratori locali avvertono il bisogno di fare fronte comune. I sindaci del leccese si riuniranno giovedì, su convocazione del presidente della Provincia Antonio Gabellone e lo stesso faranno tra qualche giorno i colleghi tarantini. Anche sul fronte trivelle, del resto, il ministro Gentiloni è stato possibilista: "L'Italia è impegnata a garantire sicurezza nell'esplorazione e nello sfruttamento di gas e idrocarburi nel Mediterraneo in generale e nell'Adriatico in particolare. Ci sono circa venti piattaforme operative, e dobbiamo coniugare protezione dell'ambiente alle opportunità economiche che queste attività danno al nostro paese. Dobbiamo lavorare su questo principio". air max nere e fuxia Casadei: scoprite la sua Fontana Collection 2012